sabato 29 dicembre 2012

Ho sentito sti tipi in giro nel 2012

2012: anno atipico, bilancio negativo, sfido chiunque a dire che non sia stato un anno di merda. In un certo senso i Maya hanno avuto ragione: per il sottoscritto è stato un anno di grandissimi cambiamenti. Ho cambiato casa, ho perso una persona cara, sono stato dall'altra parte del mondo, ho tremato e gioito per il il lavoro, la vita di tutti i giorni e altre mille cazzate. Ho qualche capello bianco in più, e ho cambiato di molto la prospettiva su molti aspetti delle cose...
Musicalmente parlando, è stato un anno traballante: al suono pompato dal mio stereo spesso si è sovrapposto il rumore del trapano, il brusio dei magazzini del fai da te, il fruscio delle carte, il ticchettio dei tasti del computer o il silenzio di un ospedale.
Non so bene che direzione abbiano preso i miei ascolti, e infatti non ho una playlist "tradizionale", nel senso letterale del termine.
Non ho ancora trasferito tutta la mia collezione nella casa nuova, ho continuato comunque a comprare e cercare roba nuova.
Forse le soddisfazioni più grandi me le ha date la musica dal vivo, e questo è positivo. In quest'anno mi sono goduto l'eccitazione e l'attesa di eventi che non avrei mai sperato potessero avverarsi. Nel 2012 ho visto per la prima volta Morrissey, ho visto gli Stone Roses, ho stretto la mano a Mick Jones, ho visto Tricky, gli Spiritualized, e direi che a livello emotivo siamo a posto. A livello umano anche, perchè in tutte le occasioni sono stato insieme a persone che hanno reso l'attesa e l'esperienza degna di essere vissuta.
Sulla musica "registrata" ho avuto qualche sorpresa: niente nomi altisonanti, niente milioni di copie vendute. La maggior parte dei bei dischi che ho fatto passare quest'anno sono ancora "artigianali", parola che per me sostituisce senza bisogno di rinforzi la parola "indie".

Il primo discone è arrivato da un amico, che l'ha prodotto: si tratta di "Sin And Lostness" dei Lost Rivers, su etichetta Northern Star Records. Una legnata, una specie di macro-incubo di rumore che esce dalla dimensione onirica e si incarna sulle strade umide e nebbiose che ogni mattina mi portano in ufficio. Le povere casse della mia Micra 1.2 hanno visto uscire un mostro a metà tra Joy Division, Jesus & Mary Chain, Sonic Youth, Spacemen 3... insomma... capito, no?
Poi ho fatto girare l'album di Mark Stewart (ex Pop Group), "The Politics Of Envy": un disco totalmente "meticcio", fatto di elettronica, wave, dance, reggae... un'uscita che sembra partorita in un fabbricone abbandonato, nel cui sotterraneo si distilla dubstep e industrial, sotto la frusta di un sardonico "padrone". Ci sono in mezzo Bobby Gillespie, Lee Scratch Perry, Daddy G dei Massive, Keith Levene dei PIL... un bel quadrello in mezzo ad una vetrina di un negozio di lusso...
Non è che qui piova sempre, eh... il sole lo riportano i Dot Dash, formazione americana in cui si mescola il meglio dell'underground di Washigton DC: un disco pop vero, un piccolo capolavoro che magari rimarrà nell'anonimato, ma non per me. "Winter Garden Light" è esattamente quello che cercavo, ovvero un grande ritorno alla melodia, sostenuto da chitarre e riverberi anglofoni, soggetto a cambiamenti d'umore e di atmosfera.
Non so se sia del 2012, ma ho anche sfondato il CD antologico degli Underworld, tra i miei preferiti di sempre in campo dance/elettronica. Se una città potesse suonare, farebbe il rumore degli Underworld. Dalla provincia piemontese fino all'estremo oriente, il cemento e il traffico si muovono al ritmo di "Scribble", "Dark Train", "Two Months Off", "Moaner".
Quando ho avuto bisogno di calma, sono arrivati Danny Mahon e Andy Whitaker, tutti e due dalla piovosa Manchester. Il primo, giovane e ribelle, il secondo più anziano e maturo. Tutti e due a dire qualcosa con la loro strumentazione acustica, per scalare la marcia e godersi il tempo che, ahimè, passa veloce.
E il ritorno dei Madness, con il disco pop migliore dell'anno: Oui Oui Si Si Ja Ja Da Da. La speranza alla quale ti aggrappi quando esci per le strade della tua cittadina e quello che vorresti è solo un pub (che non esiste) e una manciata di amici.
Poi Lee e i suoi Death Threat Cassette, frustrazione su registratore 8 tracce, alla maniera della migliore Sub Pop... un disco "incazzato" e perfetto nelle sue sbavature.
All'ultimo momento mi hanno pure regalato l'album degli XX, "Coexist", che sta girando in questo momento... decisamente buono... son tempi di crisi e loro tagliano il superfluo, lasciando solo l'essenziale e restando comunque ammalianti e raffinati.
Poi, inaspettatamente, tanta roba italiana. Che sia la volta buona? Quest'anno ho consumato l'LP dei Be Forest (sulla propaggine post-gaze della penisola), Mushy (uno degli ultimi acquisti), i sempre validi Soviet Soviet (che finalmente ho visto dal vivo), i mastodontici Ufomammut, i Giuda (che ormai hanno scavallato anche oltremanica), ma anche realtà che sollevano la testa dall'acqua alta di queste zone paludose, prendendo grossi respiri. Tre nomi su tutti: Temponauts (con un disco in uscita semplicemente PERFETTO), Allan Glass e i potentissimi paladini dell'hardcore vecchio stile che rispondono al nome di Collateral Damage...
A proposito di hc italiano... insieme ai "soliti noti" qui in città ho avuto la fortuna di conoscere e chiacchierare con Zazzo dei Negazione (e il libro + CD "Il Giorno Del Sole" su Shake va di diritto nella mia playlist di fine anno), in una "giornata perfetta" che sarebbe piaciuta a Lou Reed...
Beh, credo che ora come ora sia tutto, più o meno tutto è stato compresso e sistemato a dovere. Ovviamente accanto a queste "novità" ci sono stati sempre i miei ascolti "materasso", che bene o male continuano a girare: reggae, dub, soul, Joy Division, Happy Mondays, Specials, insapettatamente uno svarione per i Death In June, ma anche le grandi certezze di sempre, che lo sapete quali sono.
Cosa si aspettano le mie orecchie nel 2013? Non si può sapere. Per certo posso dire che, di qualunque cosa si tratti, sarà qualcosa che come sempre aiuterà a vivere meglio.

lunedì 17 dicembre 2012

Ho sentito sto tipo che si chiama Andy Whitaker

This will be my first post entirely written in English. Well, I don't want to seem posh or whatever, I simply decided for this option since I got more and more feedback from abroad than from Italy. So, hope you won't mind... anyway, I'm keeping the exotic Italian title just to add a bit of extra fashion to it... joking...
As I was saying a few days ago, internet is totally unuseful for some kind of issues... I did not came through this interesting new release from facebook, or from some hipster webzine, but by word of mouth, which works better than anything in some cases. My pusherman Simon introduced me to the work of Andy Whitaker, formerly The Sun And The Moon, Music For Aborigines and Weaveworld. But I don't want to talk about that too much, because I don't want to prepare your ears to what's coming next.
Well, acoustic stuff is not the usual genre I use to groove to in this period.
But when something special comes in store, a interest comes back in a natural way.
"Things that happened on earth" is not that typical Nick Drake thing you expect from an acoustic, folksy album. This is intriguing. And that's a great point.
Andy's voice lays over some beautifully crafted musical parts, throwing a dark shadow and pushing a strange mood in.
It's not easy to to explain, I'll say you get something similar to that restless feeling you get when you listen to "Forever Changes" by Love. 
Yes, there are hints of Scott Walker and Lee Hazlewood as well, but this album ranges from clear, bright ballads to more experimental tracks, and everything shows a wide range of feelings, the same mixed feelings you get when you live a real life.
Some laid back moments, like the beautiful Stars, goes along with darker explorations ("Sermon on the mount", "Primordial soup"), and the album keeps on going without weak points, oscillating from calming moments to humoral passages. 
The musical parts on the album are brilliant: soundscapes are elegantly presented, arrangements are finely crafted, guitars, pianos, and a few electronic tricks perfectly fit as an enviroment for Andy's songs and stories.
It's a very "adult", ethereal, mature album, just loosely connected with any genre cliché.
Since I got the promo copy I kept on listening to it as a soothing experience, while the crisis goes on and people keep on going mad outside.
Despite of its gentle sounds, this is not a "quiet" album though: it keeps a dark thread weaving through the tracks, adding a sort of magical, magnetic aspect. Like a shell hiding a bittersweet secret.
Do yourself a favour, get yourself a copy of this beautiful piece of music here: http://www.wanderlandmusic.com/andy-whitaker/
Don't stop the word of mouth.

mercoledì 12 dicembre 2012

Internet non serve a un cazzo

Sono arrivato a congetturare questo dato di fatto. E' un periodo veloce, intenso, che mette alla prova quello che porta alle feste natalizie. E fin qui, siamo tutti d'accordo. 
Nel cercare un po' di sollievo da lavoro e vita varia, ho deciso di sgrassare un po', facendo ciò che più mi piace, e, talvolta, meglio mi riesce: comprare dischi. 
Dopo aver effettuato qualche acquisto destinato a diventare un regalo, ho avanzato sulla prepagata circa 18 euro, ed ho deciso di devolverli a me stesso. 
Ho voglia di comprarmi un bel disco nuovo. 
Ed è da domenica sera che impiego circa 30 minuti al giorno nella ricerca spasmodica e disperata di qualcosa da comprare e ascoltare: ristampe, dischi nuovi, italiani, stranieri, cd, vinili e chi più ne ha più ne metta.
E via a cercare tutti i reader's poll di fine anno sulle riviste che contano, confesso di essere finito anche su Pitchfork, su Vice (che comunque è veramente il regno della fuffa dietro ai mobili) e su svariate riviste online piuttosto "hipster".
Devo spendere quei cazzo di 18 euro.
E' tutto di moda, è tutto fuori moda. E' tutto già passato sotto le mano di recensori (magari poco più che maggiorenni) e tutto è stato promosso o ghigliottinato dai giudizi così ipercinici della rete. Ho cercato decine di nomi, soundcloud, facebook, reverbnation e compagnia suonante, magari facendomi abbindolare da aggettivi originali, oppure da nuove sensazioni che mettono d'accordo tutti.
Io sono arrivato ultimo, e mi son messo ad ascoltare con la voglia di portare a casa qualcosa di buono per le giornate (speriamo) di ferie. 
Tutti i dischi che ho provato ad ascoltare sono a portata di click, con spese di spedizione gratis o se spendo 20euro mi portano a casa un bancale di roba, il giorno dopo.
Io c'ho provato, immaginandomi in redazioni high tech in cui i cervelloni della critica musicale online intrecciano le maglie della musica del futuro, o del passato, dei dischi che tra vent'anni saranno classici. Tante, tantissime parole e chilogrammi di barbe e baffi, occhiali con la montatura spessa, collezioni stipate in iPod da tremila giga, vernissage e design, comunicazione, nuovi media, indie, defilè e American Apparel.
Ma non ho trovato un cazzo, e ho ancora 18 euro sulla carta di credito.
Vorrei solo qualcuno che mi desse un consiglio, sincero, spassionato, tre parole da uno che ti conosce e ti consiglia un disco figo, spiegandoti pure il perchè.
Io ce l'ho messa tutta, ma Internet non serve a un cazzo.

martedì 4 dicembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Death Threat Cassette

Più passa il tempo più mi rendo conto di una cosa, e non solo nell'ambito musicale. La "comunicazione" intesa in senso lato, il marketing, l'immagine, la presenza sul web devono esplodere, lasciando cadere l'enorme fallout di fuffa che hanno accumulato in questi anni. Che vadano sulla forca la presenza su facebook, la pubblicità mirata, le belle foto e tutto il resto. A me le novità più buone le passano sempre gli amici, le persone che se ne battono di tutto il carrozzone madiatico, concentrandosi sulla musica, sia essa quella di un demo registrato in cantina o di un disco di platino. Simon, un ascoltatore vero, uno di quelli di cui ti puoi fidare, mi passa un nome: Death Threat Cassette. Mi dice che gli hanno fatto venir voglia di ascoltarli ancora, di scriverci su, di far loro un po' di pubblicità. Ed eccomi qua a parlare di loro, finito "sotto" nel giro di tre brani, già a sperare di mettere le mani sull'album il prima possibile. Death Threat Cassette: una cassetta con minacce di morte, un duo a bassa fedeltà dal Nord Est britannico, pop, elettronico, formato camera da letto. Grandi melodie, chitarre incasinate, tastiere, rumori, batterie elettroniche, grandi hooks, intuizioni geniali, urgenza pop, ma anche malessere suburbano, scazzo e sana voglia di turpiloquio. Tante le atmosfere, una sola via di fuga, rappresentata dalla forma canzone, intrisa di indolente spleen di inizio millennio. Hanno un bel nome, suonano da Dio. Si chiamano Death Threat Cassette e ve li potete godere qui http://www.reverbnation.com/deaththreatcassette/. Il loro album si chiama "Lo-Fi Or Die". Capito? 

venerdì 16 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Temponauts

Voi lo sapete cos'è una white label? Nel millennio scorso le white labels erano stampe di prova, fatte su vinile, di dischi prossimi all'uscita. Credo che nell'ambito della musica elettronica, quella da dj, le facciano ancora. Servivano per provare una canzone, per vedere come funziona sottoposta all'attenzione della gente. White label perchè quei dischi non avevano il centrino normale, ma un'etichetta bianca con su scritto artista e titolo a pennarello. "Columbia" degli Oasis uscì come white label e oggi i collezionisti uccidono per averne una copia...
Anche io oggi ho in mano una white label. Perchè non c'è più il tipo dei test pressing che me l'ha regalata, ma me l'hanno fatta avere i Temponauts, che hanno appena messo insieme le tracce del loro secondo LP.
Tutte le volte che mi arriva qualcosa di nuovo da loro so che è qualcosa di speciale.
Sono amici, ma anche con gli amici, musicalmente parlando, sono abbastanza una merda.
Con loro però la faccenda è diversa. Sarà una questione di gusti comuni, di età (più o meno siamo tutti lì), ma ormai mi fido ciecamente.
Non sono un gruppo che gira molto, sono tutti incasinati con una vita in corso, il lavoro, le famiglie, ma quando si mettono a suonare, levatevi da sotto...
Il nuovo lavoro "The Canticle Of The Temponauts", di cui ho avuto il mix quasi definitivo, suona meravigliosamente bene.
Cioè, mi da ancora quella sensazione di avere in mano un Verbatim masterizzato con qualcosa dentro che vale. Un piccolo segreto che hai voglia di far scivolare nel lettore della macchina appena esci.
Una cosa del tipo: si vabeh, divertitevi pure con le vostre fisse del momento, io in mano ho una cosa che se ve la faccio sentire vi spettino.
Poi mi immagino il mondo di notte visto dai Temponauts, in quello studio bellissimo nella campagna piacentina (L'Elfo http://www.elfostudio.com/), dove vanno a registrare una volta messe a letto le faccende della giornata.
Suonano duro sulle Rickenbacker, sul bassone Fender, sulle Epiphone d'epoca, e tirano fuori quelle melodie lì che si appiccicano, come se in formazione ci fossero mezzi Stone Roses e mezzi Byrds. Un piccolo miracolo "decentrato".
Proprio poco fa uno di loro mi chiedeva se il disco mi fosse sembrato nostalgico o revivalista, ma cazzo, no, non lo è! E' senza tempo.
"non ci sono gain sintetici, solo valvole JJs e Celstion a livello di fusione! e infatti ho di nuovo fuso un ampli..." mi ha detto il loro cantante.
Se vi chiedessero come suonano i La's, che cacchio rispondereste? Ecco, se avete capito siamo a posto, non perdiamo altro tempo.
Ad ogni modo il disco dura 40 minuti. Le canzoni sono sempre lì che assorbono il succo delle chitarre e te lo restituiscono insieme alle melodie, è difficile da spiegare, ma ti viene voglia di sentirlo ancora una volta e poi ancora una.
Qua arriva l'inverno e si alza la nebbia, ma senza fare versi i Temponauts imboccano quella stradina di campagna, arrivano in studio e ne mettono su un'altra.
Ora c'è solo qualche piccolo aggiustamento in due o tre brani (così mi dicono). C'è anche una cover di Movin' On dei Novecento, e una traccia chiamata Sueno Real, che viene da Ferlinghetti. Hanno imbroccato anche i titoli dei pezzi (Capitulation Day, Teleported Girl). E hanno qualche bella novità, come "March Of The Martians".
Come al solito, l'ombra di Phil Dick veglia sul Cantico dei Temponauti. Se volete dosi massicce di chitarre jangle, delle 12 corde ben piazzate, qualche suggestione ipnagogica, e un bel disco moderno che ha nostalgia del passato, sapete a che porta bussare. Ma aspettate ancora un attimo, ci sono un paio di livelli da aggiustare. Poi si parte.
Di gruppi buoni che suonano questo genere di cose in giro ce ne sono tanti, che spaccano il capello e rifiniscono in maniera maniacale, ma vi assicuro che autentici come i Temponauts non ce ne sono.
Stasera chiudo la settimana tornando a casa con la mia white label a palla.

giovedì 15 novembre 2012

ho sentito sti tipi che si chiamano Mirella Fa Gli Involtini Col Culo

Post Polemico:
- Marta Sui Tubi
- Valentina Dorme
- Non Voglio Che Clara
- Eva Mon Amour
- Maria Antonietta
- News For Lulu
- ...
finchè un gruppo (specialmente italiano) sceglie un nome di donna, mirando a provocare romantici pruriti, e lo associa a qualche concetto vuoto ma terribilmente "universitario fuori sede", viene fuori una bella cagata.
Siamo seri, come cazzo faccio ad ascoltare un gruppo che si chiama così? Fossero i Giovannona Coscialunga potrei anche buttare un ascolto, ma così proprio non andiamo.
Fine post polemico.

mercoledì 14 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano The Hippy Mafia

The Hippy Mafia: non li trovate sui blog hipsteroni, non li trovate (ancora) sui giornali. Sono un'entità semi astratta: tra di loro c'è un ex Happy Mondays, ma il gruppo è molto misterioso, e poco viene reso pubblico. Operano nell'oscurità, passando tra uno studio di Manchester e la seconda base in Canada. Hanno fuori un EP chiamato "The Black Beatles EP Vol. 1", e per ascoltarlo dovete dimenticare tutto ciò che vi blocca. I generi musicali, le divisioni, le stupide barricate: negli Hippies c'è l'hip hop, l'atteggiamento hooligan, i ritmi superfunk, il mood rilassato di chi si sente bene solo per strada. Io ho avuto la fortuna di conoscerli già tre anni fa, quasi privatamente, e sono rimasto sconvolto dalla loro credibilità. Tutto va d'accordo con loro: Sly And The Family Stone, la disco music, le serate che in un baleno diventano mattine, le corse con le cuffie a balla, il retrogusto della birra, gli strambaloni della psichedelia, con addosso un bel paio di scarpe da ginnastica comode, dei baggy trousers e nelle orecchie il rimbalzo di un suono completamente meticcio. Album fuori a febbraio 2013. Non dite che non ve l'avevo detto...

Ho sentito sto tipo che si chiama Wally (a cura di Cancio)

...ed ha un'etichetta in Canada, la TheBeautifulMusic.

No, una volta tanto non solo gruppi o cantanti, ma una parte ugualmente importante di questa nostra comune passione, ovvero le etichette e chi le fa andare avanti. Antefatto. Un mesetto fa, giorno più o giorno meno, questo blog muoveva i primi passi e come prima recensione, il buon Fab ha parlato dei Dot Dash. Dopo aver armeggiato con la pagina Facebook del gruppo ed aver sentito un paio di brani, convinto anche da quanto letto qui sul blog, passo al setaccio il sito della TBM ed in men che non si dica ho già ordinato il disco. Procedura che fila liscia e semplice, pagamento via Paypal, tutto quello quindi che si può desiderare da un acquisto online oggi giorno. Pensando a quanto ci potesse mai mettere una busta a viaggiare dall'Ontario alla provincia alessandrina, non nutrivo speranze di poterlo piazzare il CD nel lettore in tempi brevissimi, ma alla fine ci ha impiegato un mese, tempo più che ragionevole tutto sommato. Pochi giorni prima di ricevere la busta, mi son accorto di una mail spedita da Wally Salem, ovvero chi sta dietro alla TBM, che ringraziandomi per il supporto a band ed etichetta, scriveva che mi avrebbe spedito insieme a Winter Garden Light il sampler dell'etichetta (sempre che non avessi desiderato un altro dei dischi a catalogo). “Che gentile”, mi son detto, peccato aver letto così in ritardo la lettera, ormai occhio e croce il pacchetto avrebbe dovuto essere vicino alla meta e così in effetti è stato: dopo nemmeno una settimana finalmente è approdato nella mia cassetta delle lettere. Aperta la busta, trovo ben quattro dischi avvolti in un foglio di carta. Due copie del sampler preannunciato, Winter Garden Light come da attese ed in più anche il primo album dei Dot Dash, Spark>Flame>Ember>Ash , il tutto accompagnato da una lettera, scritta a penna da Wally stesso, dove mi comunicava di aver incluso anche il primo disco, nel caso non l'avessi già e dove prima di salutarmi, mi esortava a fargli sapere, cito più o meno testualmente “qualsiasi cosa mi passasse per la testa”.
Tutto qui ? No, pure la spilletta della TBM !!!
Ormai il massimo che mi attendo (e che non sempre trovo nel pacco) quando compro qualcosa online è una asettica ricevuta dell'ordine: anestetizzato da questa fredda consuetudine, trovare quella breve lettera mi ha fatto tornare indietro ai bei tempi dei dischi ordinati via posta (magari imboscando bene bene i soldi nella busta, in barba ai regolamenti postali) o telefonando a casa di qualche membro del gruppo (e magari parlando con i genitori che ti pregavano di richiamare, visto che il figlio era in turno in fabbrica).
La comodità dei mezzi attuali con l'attitudine che bene o male ci accompagna da quando si ascolta musica.
Bello, no ?
Magari la mail che ho ricevuto è preconfezionata e completata giusto al momento della spedizione con nome ed indirizzo email (e ci sta), ma qui non si scappa, non è certamente “di circostanza” mettersi a scrivere qualche riga a penna sul retro di un volantino promo e mettere nella busta dischi in più rispetto a quanto si era chiesto: rischio la retorica, ma è specchio di (e qui cito il commento di un amico) amore per quello che si fa. Non è cosa da poco, è cosa da apprezzare e supportare!
La e-mail di ringraziamento è partita, ora spazio a carta e penna, la soddisfazione di spedire una mail senza e- davanti dopo tanti anni me la voglio togliere!
http://thebeautifulmusic.com/

(post a cura di Cancio)

lunedì 12 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Spiritualized

...ma sentiti nel vero senso della parola, ieri sera a Milano. Era dal 1997 che speravo di poterlo fare, e per un bel periodo ci avevo anche rinunciato. Stavolta è andata, Jason Pierce c'era e con lui tutto il resto.
Andare a sentire i concerti a Milano mi fa sentire sempre un po' tipo Artemio ne "Il ragazzo di campagna"... bei locali, gente perfetta, tutti tranquilli e incuranti dell'orario, ma questo è un altro discorso.
Jason Pierce dicevo: solo qualche anno fa ha rischiato il pacchetto, nel 2012 ha ammesso di essersi sottoposto a cure pesanti e invasive, e molti dubbi sono stati sollevati sulla sua possibile ripresa, musicale e fisica.
Personalmente, i dischi degli Spiritualized dopo "Let It Come Down" non sono stati imperdibili, ma alla fine li ho presi tutti, perchè ho sempre puntato tutto su Jason Pierce e sulla sua fantasia. "Ladies & Gentlemen" è stata una folgorazione, e non mi sembra di essere presuntuoso a dire che è un capolavoro.
Ultimamente poi sto ascoltando musica abbastanza anaffettiva, e l'argomento Spiritualized mi mette spalle al muro sull'aspetto emozionale: "Lord Can You Hear Me", "Broken Heart", "Out Of Sight", per chi mastica la materia, non sono propriamente canzoni impermeabili a risvolti intimisti...
Tornando al concreto, il concerto ha messo chiaramente sul tavolo un personaggio e una band straordinarie.
Pierce è alto, magro come un chiodo, in forma nonostante tutto. Seduto, di fianco due corpulente gospel singers, una tastiera, batteria, basso e chitarra numero due.
Proiezioni sullo sfondo.
Pierce: davanti alla sua storia ti aspetti un concerto fatto di ballads incredibili, con aperture orchestrali, cori, ampio respiro a bassa velocità.
E invece? E invece la chiave di volta è la violenza: gli Spiritualized di ieri sera sono stati una macchina da guerra, con le canne fumanti di feedback, chitarre massacrate, batterie motorike come presse industriali, jam sessions stellari. Ci sono stati i lenti, due o tre, e nell'intervallo tra uno e l'altro non volava una mosca. Era quasi impressionante sentire lo stacco della canzone il solo il rumore bianco prima dell'attacco dell'altra. Un rigore ecumenico, sostenuto dal gospel spaziale degli Spiritualized.
Ma al Pierce "bianco" del soul siderale si oppone un'anima torbida, torbidissima, ancora infestata dai fantasmi degli Spacemen 3 e dei cassetti pieni di droga.
Vederlo spalancare la bocca, tirare il viso e mostrare i segni del tempo e del passato tumultuoso è stato affascinante come è affascinante il diavolo.
Le due lunghissime e rumorosissime sessions, unite al fragore di brani come "Electricity", hanno mostrato come si fa a fare rumore, cercando la potenza, l'annichilimento, il climax, con un guizzo sadico verso le povere orecchie del pubblico. Come un Sun Ra punk, ai duecento all'ora in un'eruzione di drones, riffs ripetuti all'infinito, luci stroboscopiche e ritmi spietati.
Non esiste al mondo un'altra band come gli Spiritualized, che si mangia in un boccone tutta la nuova generazione di "sballati" da copertina. Non bastano una camicia a quadri e una valigetta di pedali per fare la psichedelia. Gli Spiritualized sono l'essenza dell'anti hippismo: celestiali e infernali, lucidi distruttori di qualsiasi schema precostituito. In loro c'è il caos. Good dope, good fun.

giovedì 8 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Fugazi

Si vabeh.
Bella forza.
Questo è un post intriso di amarcord. Ma non solo. Perchè ora ho quasi 40 anni, una bella esperienza di ascolti opposti e variegati. E, dall'alto delle mie maniglie dell'amore, mi sento di poter giudicare (ovviamente a titolo personale) l'operato di questo gruppo che molto ha dato alla mia adolescenza e oltre.
In questi giorni ho ripreso un po' l'ascolto differito dei Fugazi, dopo essermi negli anni allietato le orecchie con le sonorità più disparate (dal britpop al folk apocalittico passando per il dub e la soul music). E sono giunto a congetturare che forse i Fugazi sono stati l'ultimo gruppo "rock" veramente originale.
Sbram! E' arrivato lo stronzo con la verità in tasca e sotto coi discorsi di chi è originale e chi copia manco fossimo Morgan a XFactor. Ma io me ne sbatto i coglioni, perchè so che chi legge ste righe sa cosa voglio dire. Non voglio fare il fenomeno, voglio riportare la parola "originale" - per un gruppo rock - al suo posto. Niente sboronate.
I Fugazi hanno introdotto un nuovo modo di intendere la musica, esaltandone la fisicità e pure la riflessività. I Fugazi hanno conservato una bella carica vitale, ormonale, anche proponendo argomenti sonori non propriamente "villosi". Dopo aver passato anni a dissetarmi di dischi, ora apprezzo le basslines di Joe Lally, che sono vero DUB. Da ragazzino il particolare non l'avrei colto, e nemmeno apprezzato. Le chitarre sono fratturate come la New Wave dei Joy Division, degli A Certain Ratio, una specie di white funk spigoloso e acuminato. La batteria si interrompe e ricomincia come certe follie dei dischi jazz. Magari ce la trovo solo io, ma credo ci sia molta "materia nera" nei dischi dei Fugazi. Chissà cosa ascoltavano, da parte loro, i Fugazi. Ad ogni modo, se tiriamo le propaggini del Punk come una sfoglia fino agli anni 90, i Fugazi da una parte e i Massive Attack dall'altra rappresentano le migliori rappresentazioni del Post Punk, intendendo il termine letterale: dopo il Punk.
Non trascuriamo neanche il fatto che alla fine delle fini, hanno mantenuto anche una discreta condotta etica. Si sono sciolti prima di diventare prolissi. Sono stati "indie" dal giorno uno. Continuano sotto varie forme a spingere il loro sottomondo chiamato Dischord.
Nel baraccone dei primi 90 un po' tutti ci hanno provato con le major. Penso che l'avrei fatto anche io perchè i soldi non sono il demonio e provare ad averne di più non è necessariamente un fatto negativo.
I Nirvana sono diventati un mito interstellare perchè hanno continuato a lamentarsi. Tutti quelli che si lamentano vengono ascoltati. Anche in TV, sui giornali. Chi piange vince.
I Fugazi al contrario sono sempre stati molto dignitosi, ligi al dovere, fedeli alla linea. Fin troppo. Nel 1995 li andai a vedere e provai ad approcciare Ian MacKaye. Lui mi mandò a stendere, senza tanti complimenti: "Now listen to what they have to say", riferendosi al fatto che non stavo a sentire gli Assalti Frontali che stavano suonando sul palco. Sai a me che cazzo me ne fregava degli Assalti Frontali.
Dicevo, i Fugazi non han mai fatto tanti versi, magari non sono stati sti mostri di simpatia, ma, setacciando tutto, quello che rimane sono performances incredibili, dischi belli e un comportamento sobrio, senza piagnistei. Rimangono i fatti, cadono le pugnette.
Acoltare i Fugazi a quaso 40 anni non fa l'effetto di "ascoltare da adolescenti quello che facevano dei tipi una decina d'anni più vecchi". Davanti ai loro dischi anche MacKaye, Picciotto, Lally e Canty non si troverebbero alle prese con imbarazzanti fantasmi di gioventù, ma si troverebbero davanti ad un qualcosa di concreto, di cui andare fieri, che resiste alla prova del tempo. Ascoltare i Fugazi non è stata una perdita di tempo. E non lo è nemmeno ora.

domenica 28 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Seaside Postcards

Visto l'andazzo direi che si potrebbe quasi parlare di "scuola pesarese": i Seaside Postcards, dopo un convincente precedente EP, tornano con una nuova austera unità sonora. Si chiama "Hope and Faith" il loro nuovo lavoro, forse un pelo meno criptico del primo. Si insiste sulle scarne geometrie wave, che ben si intonano ai tempi che stiamo vivendo. A questo giro troviamo un gusto più post rock (c'è ancora più spazio per le parti strumentali), sempre sorretto da linee di basso "suprematiste", semplici, insistenti, martellanti. Funziona, ammalia, nutre quella voglia di nostalgia che quasi tutti ci portiamo dentro, magari sopita. In un certo senso espone anche la band ad un pericoloso senso di deja vu, il genere è pieno di convergenze, ma è anche soggetto ad altrettante aperture. Mi avevano convinto col primo EP e continuano a farlo. L'unico vero peccato è che l'uscita digitale è troppo volatile. Questa nuova onda italiana, merita il formato fisico. Tra vent'anni, probabilmente si inizierà a parlare di questa bolla temporale che sta producendo tanta bella musica di derivazione wave, ed è un vero peccato che non ci saranno dischi fisici a supportare e fare da testimonianza. Nel frattempo, gratuitamente, c'è questo: http://seasidepostcards.bandcamp.com/album/seaside-postcards-hope-and-faith-ep-2012

giovedì 25 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano The Cornelius Crane

Non sono particolarmente in vena di tradizionalismi, ma mi son passati per le orecchie questi Cornelius Crane, col loro "EP Too". Vengono da Manchester, e suonano come la California. Sono un trio, e fanno musica senza bisogno di competere, di emergere o di finire in copertina. Si scaldano le ossa, lassù, al freddo e alla pioggia, suonando un rock classicissimo, quasi conservatore, che affonda le sue radici in bands come CSNY, Crazy Horse, e tutta la créme del folk rock della West Coast. Al contempo i Cornelius hanno quel sapore appena impercettibile che caratterizza le bands più "americane" del nord dell'Inghilterra, quell'aspetto compassato capace di schiudere grandi gioielli. Mi vengono in mente gli Shack, i Coral, e, perchè no, certe atmosfere degli High Flying Birds di Noel Gallagher. Perchè anche nell'EP dei Cornelius Crane si sentono le corde far vibrare la cassa dell'acustica, si sentono sfrigolare le molle e le pelli della batteria, si sente l'appoggio morbido delle dita sul basso. La stessa sensazione che si prova maneggiando un oggetto artigiano, fatto su misura.

martedì 16 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Death Grips

La solfa è proprio anni 90, da ribelli incazzosi e integralisti. Questi qua sono in tre, super hypati, fisicati, americani, cinici, terribili e intelligenti. Fanno il botto con una indie label, poi arriva la major, loro preparano il disco, poi il disco è incommerciabile, e i cattivoni del music biz li mandano affanculo. Allora loro per far vedere che sono integerrimi e ce l'hanno duro, fanno appunto una foto ad un bel pisellone eretto, ci scrivono sopra il titolo del disco e lo regalano in download. Applausi, ma ormai è un po' un clichè anche questo. Io il disco me lo sono scaricato, ed è bello. E' una roba avant hip hop glaciale, con delle basi secche e mastodontiche, il rappato è violento, ridotto a volte quasi ad un rantolo, è veramente un disco potentissimo. Rap, batteria vera e synth. Ora, io di chi siano questi non lo so, se piacciano alla gente che piace non lo so, io è una settimana che ce l'ho su. E', per dire, qualcosa alla MF Doom ma più hardcore, più urlone. E' come quando vent'anni fa ti passavano i Cypress Hill o i Wu Tang, ma anche roba pestona hardcore tipo Born Against, o Judge o cose così, e tu ti sentivi zarro e potente, e gli altri non capivano quanto tu fossi una bomba. Ovviamente tutto questo è stata ed è un'illusione, passa il tempo e ti accorgi che più che essere tu a spaccare il mondo devi stare attento che non sia il mondo a spaccarti, ma per una mezz'ora in macchina potresti far fuori centinaia di persone che ti impediscono di fare ciò che vuoi. Poi scendi, vai a lavorare e assumi la posizione, come tutti i giorni, ma in quella mezz'ora passata coi Death Grips a cannone ti sembra quasi che qualcosa possa cambiare, con la forza.

giovedì 11 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Be Forest

Sono un trio e vengono da Pesaro, che ultimamente sembra essere un posto molto fertile. Da lì arrivano anche i Soviet Soviet, miei favoriti da tempo ormai. Quello dei Be Forest è un menù leggermente diverso. Sempre wavish, sempre molto spettrale e etereo. Una fotografia kirlian di un attimo grigio, sbiadito, in una città deserta. Sono molto affini a gente come gli Slowdive, danno quella impressione di qualcosa di segreto, nascosto. Mi piace questo modo intrigante di far musica: si sente che c'è una gioventù smorzata, una misura, una voglia di "velare". Hanno dei suoni bellissimi, delicati, ma al contempo decisi. Batteria suonata in piedi, basso secco, suonato col plettro e chitarroni Fender Jaguar infilati in un tunnel infinito di effetti. Il loro disco omonimo è un piccolo capolavoro non tanto di originalità quanto di godibilità. Stamattina con la nebbia che saliva dai campi era completo.
Mai visti in faccia, ho iniziato a sentirli buttando qualche ricerca su youtube. A vederli, dimostrano che al giorno d'oggi non c'è gruppo che possa vivere senza immagine. Sono praticamente pronti per una rivista di moda, poi scopro anche che hanno un bel seguito nel "giro indie": cosa che di principio mi avrebbe già fatto scappare la voglia, che alla mia età sono diventato un pezzo di carne vecchio e stopposo. Ma alla fine l'età sclerotica mi impone anche maturità, e passare sopra a ste cose, e meno male. Perdersi i Be Forest (che comunque continuano il filotto con un nome perfetto) sarebbe un vero peccato. I dischi e i gruppi indie rock forse hanno davvero la data di scadenza, perchè non è sempre facile fronteggiare una mole di uscite spropositata, una competitività degna di una speculazione finanziaria e poi un gruppo non può avere più di quattro assi nella manica. Tuttavia vi assicuro che in questo momento il disco dei Be Forest  è davvero un ottimo modo per passare una mezz'ora sognante, immersi in tempo di crisi.

lunedì 8 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi sulla compilation di Mojo di ottobre

Mojo è una rivista musicale inglese che costa quasi 10 euro. Io la compro più o meno regolarmente dal 2003. I primi numeri erano illuminanti. Io ne sapevo molto meno, ma con Mojo ho imparato a conoscere e apprezzare decine di bands, di generi diversi. Non è per fare lo snob, per far vedere che so leggere una rivista in lingua, è solo che quelli di Mojo hanno competenza e al contempo sono molto "alla buona". Ogni numero, in concreto, ha un tema, uno speciale, un sacco di belle foto e di articoli davvero esaustivi ma mai pedanti. Certe interviste di Mojo sono davvero inarrivabli, come quella a John Cooper Clarke fatta dal tipo degli Arctic Monkeys. 
Vabeh.
Negli ultimi anni, tutti i mesi Mojo ha montato in copertina un CD. A volte sono compilation di roba originale, a volte si scade nel loffio con riedizioni cover di questo o quell'altro album famoso. Quando ci son le cover non lo compro.
A sto giro la compilation invece è una bomba. Sono "indie classics" dal 1982 al 1987. Terreno vastissimo e (per me) parzialmente inesplorato. Nel 1982 avevo 7 anni e facevo come Tardelli sulla moquette della casa in affitto che avevamo in paese. Più tardi, nel 1987, guardavo con ammirazione i paninari sognando un paio di Timberland.
Solo pochi anni dopo sarei avrei preso sentieri molto diversi. In tutto questo divenire, in Inghilterra c'erano gli Smiths (che tuttavia apprezzavo pur non capendoli su Deejay Television, che ogni tanto passava Ask) e tutto un altro sottobosco pazzesco. A scoprirlo adesso, ha un sapore particolare. Chissà che facce avevano quelli che in quegli anni, in Italia, ascoltavano i Go Betweens, o i Felt, o i Weather Prophets. Mentre Boldi sbancava i botteghini e tutti "facevano gli americani" da Burghy, mentre il figlio di Silvio spuntava a Drive In e mia mamma si beccava Dallas, nasceva quello che si sarebbe poi chiamato "indie rock". Indie è un bel termine, io l'ho sentito per la prima volta da uno che parlava dei Charlatans. Adesso invece sembra quasi un insulto, una roba finta, o meglio, un qualcosa privo di significato. I Kasabian sono indie, oppure ti vesti indie... ci sono i tipi indie, che non hanno un cazzo di disco in casa.
Chiamatemi "il Dottor Divago"... torniamo alla raccolta di Mojo... bene, è un buonissimo compendio di quel suono e di quell'estetica sfuggente, difficilmente classificabile, tra l'82 e l'87. Bello perchè nessuna delle bands ha un'immagine, ma ciascuna insegue un frammento, un gioco di rimandi. C'è Billy Bragg, il folk singer ultracomunista che fa i picchetti, ci sono i Television Personalities (che in piena guerra fredda si vedono costruire nella loro città un arsenale missilistico, e quindi scrivono "How I Learnt To Love The Bomb"), ci sono i Weather Prophets, i Felt che stanno un qualche centimetro sopra tutti, i Dentists e gli immensi La's che suonano come un diamante grezzo anche se registrano in un pollaio... beh, mi piacerebbe conoscere qualche storia di chi negli anni 80 c'era, e, alla facciazza di tutto, in Italia, si godeva queste piccole comete di passaggio, laterali ai vari Duran Duran, al punk hardcore, al goth, alla new wave e all'electro. Chissà cosa facevano, chissà che facce avevano, chissà se stavano in città o in provincia... chissà se esistevano, soprattutto...

domenica 7 ottobre 2012

Ho sentito sto tipo che si chiama Danny Mahon

Danny Mahon è uno di quelli buoni. Faccia paciosa, chitarra in mano, sembrerebbe quasi pronto per tutta una serie di luoghi comuni fatti di bravi ragazzi e cuori infranti. Però no: non è Badly Drawn Boy. Danny è "uno dei ragazzi", uno di quelli col montgomery e le trainers bianche fiammanti. Suona, canta: da solo. Fa una specie di folk, ma i ragazzi sanno bene di cosa parla, e cantano a squarciagola insieme a lui. E' atipico, sobrio e pure sboccato e mi fa impazzire. Manco a dirlo, viene da Manchester, lassù ti fan crescere col filo della schiena dritto. Ha un paio di EP fuori, in uno di questi c'è un pezzo che si chiama AK47:
Sentite qua:
Alcuni suoi amici e fans sono stati accusati di combinare casini quando c'è la partita... beh, son ragazzi. E' giusto così.

Rows of terraced houses, high rise flats, cobbled streets, Cantona, corner shops, 45rpm, shoplifters, football, my dad, my dad’s record collection, Poplar St, jumpers for goal posts, dealers, pimps, thieves, low-life scum, salt of the earth, old house at home, chip butties, pylons, railway bridges, the bus ride into/out of town, Catholicism, nuns, kock-a-door-run, The Beatles, Manchester, Strangeways, the family who lived at number 13, my skylight window, UFO’s, Neil Armstrong (he had balls bigger than king kong)

Ho sentito sti tipi che si chiamano Dot Dash

Mi arriva una  mail, subject "mod pop". Apro. "Dot Dash", come un pezzo dei Wire. Sono americani, di Washington DC. Io a Washington DC ho lasciato un pezzo di post-adolescenza, senza esserci mai andato. Vado su Bandcamp, premo play. Suona chiaro, grosso, come gli Sugar di Bob Mould, ma più inglese, molto più inglese. C'è quella scintilla che ti sveglia dal torpore di una domenica mattina dopo un sabato lavorativo. Google "Dot Dash band": ecco perchè. Non sono ragazzini, tra di loro c'è gente che ha inciso per K Records, gente che suonava negli Youth Brigade, nei Julie Ocean, anche uno che ha passato qualche tempo negli Swervedriver: insomma, capito il giro? Mi hanno mandato il codice per scaricarne una copia promo, e me ne manderanno anche una fisica. "Winter Garden Light" è un disco fatto bene, con le regole di una volta. Pop, indie pop (e dico con la "I" maiuscola). Come se finalmente si fosse concretizzato il legame etico che unisce la Dischord Records al movimento Mod. Etica ed estetica, DIY e rigore formale. Quest'oggi l'ho già ascoltato almeno 4 volte. E' uno di quei dischi che ti riduce a soffittaro, come quando a 18 anni non uscivi perchè dovevi sentire lo stesso album per tutto il pomeriggio. E' anche il disco che mi ha fatto venir voglia di aprire un blog. Il 21 dicembre finirà il mondo, ma chi se ne fotte se vivi nel 1992?
https://www.facebook.com/dotdashdc
Il disco lo potete trovare qui, label The Beautiful Music http://thebeautifulmusic.com/?page_id=1399

Oh! ho sentito sti tipi

"...che si chiamano blablabla fanno una roba mista tra blabla e blablabla..." quante volte l'ho detto? Quante volte l'avete detto? Soffittari, gente che si fa le domeniche in casa con una mostruosa collezione di dischi, accumulati in anni e anni di devozione e catalogazione. Gente che è vicina ai 40, o li ha abbondantemente superati perdendo il proprio tempo libero alla ricerca spasmodica del suono, dell'estetica o dell'attitudine. Gente che se la incontri dopo cinque anni non parla di lavoro, di vita grama, di famiglie o di auto ma di quanto fossero grandi gli (inserire nome a piacere) o di quanto sia buono l'ultimo degli (inserire nome a piacere).
Tutto sommato non siamo cresciuti male, alla fine ci siamo fatti una vita, e magari non sarebbe andata così se non avessimo continuato ad ingrassare la nostra collezione di dischi. Magari sarebbe andata meglio, ma magari no.
Questo blog è fatto da uno di voi.
Si parte.
"Oh! Ho sentito sti tipi che si chiamano..."