2012: anno atipico, bilancio negativo, sfido chiunque a dire che non sia stato un anno di merda. In un certo senso i Maya hanno avuto ragione: per il sottoscritto è stato un anno di grandissimi cambiamenti. Ho cambiato casa, ho perso una persona cara, sono stato dall'altra parte del mondo, ho tremato e gioito per il il lavoro, la vita di tutti i giorni e altre mille cazzate. Ho qualche capello bianco in più, e ho cambiato di molto la prospettiva su molti aspetti delle cose...
Musicalmente parlando, è stato un anno traballante: al suono pompato dal mio stereo spesso si è sovrapposto il rumore del trapano, il brusio dei magazzini del fai da te, il fruscio delle carte, il ticchettio dei tasti del computer o il silenzio di un ospedale.
Non so bene che direzione abbiano preso i miei ascolti, e infatti non ho una playlist "tradizionale", nel senso letterale del termine.
Non ho ancora trasferito tutta la mia collezione nella casa nuova, ho continuato comunque a comprare e cercare roba nuova.
Forse le soddisfazioni più grandi me le ha date la musica dal vivo, e questo è positivo. In quest'anno mi sono goduto l'eccitazione e l'attesa di eventi che non avrei mai sperato potessero avverarsi. Nel 2012 ho visto per la prima volta Morrissey, ho visto gli Stone Roses, ho stretto la mano a Mick Jones, ho visto Tricky, gli Spiritualized, e direi che a livello emotivo siamo a posto. A livello umano anche, perchè in tutte le occasioni sono stato insieme a persone che hanno reso l'attesa e l'esperienza degna di essere vissuta.
Sulla musica "registrata" ho avuto qualche sorpresa: niente nomi altisonanti, niente milioni di copie vendute. La maggior parte dei bei dischi che ho fatto passare quest'anno sono ancora "artigianali", parola che per me sostituisce senza bisogno di rinforzi la parola "indie".
Il primo discone è arrivato da un amico, che l'ha prodotto: si tratta di "Sin And Lostness" dei Lost Rivers, su etichetta Northern Star Records. Una legnata, una specie di macro-incubo di rumore che esce dalla dimensione onirica e si incarna sulle strade umide e nebbiose che ogni mattina mi portano in ufficio. Le povere casse della mia Micra 1.2 hanno visto uscire un mostro a metà tra Joy Division, Jesus & Mary Chain, Sonic Youth, Spacemen 3... insomma... capito, no?
Poi ho fatto girare l'album di Mark Stewart (ex Pop Group), "The Politics Of Envy": un disco totalmente "meticcio", fatto di elettronica, wave, dance, reggae... un'uscita che sembra partorita in un fabbricone abbandonato, nel cui sotterraneo si distilla dubstep e industrial, sotto la frusta di un sardonico "padrone". Ci sono in mezzo Bobby Gillespie, Lee Scratch Perry, Daddy G dei Massive, Keith Levene dei PIL... un bel quadrello in mezzo ad una vetrina di un negozio di lusso...
Non è che qui piova sempre, eh... il sole lo riportano i Dot Dash, formazione americana in cui si mescola il meglio dell'underground di Washigton DC: un disco pop vero, un piccolo capolavoro che magari rimarrà nell'anonimato, ma non per me. "Winter Garden Light" è esattamente quello che cercavo, ovvero un grande ritorno alla melodia, sostenuto da chitarre e riverberi anglofoni, soggetto a cambiamenti d'umore e di atmosfera.
Non so se sia del 2012, ma ho anche sfondato il CD antologico degli Underworld, tra i miei preferiti di sempre in campo dance/elettronica. Se una città potesse suonare, farebbe il rumore degli Underworld. Dalla provincia piemontese fino all'estremo oriente, il cemento e il traffico si muovono al ritmo di "Scribble", "Dark Train", "Two Months Off", "Moaner".
Quando ho avuto bisogno di calma, sono arrivati Danny Mahon e Andy Whitaker, tutti e due dalla piovosa Manchester. Il primo, giovane e ribelle, il secondo più anziano e maturo. Tutti e due a dire qualcosa con la loro strumentazione acustica, per scalare la marcia e godersi il tempo che, ahimè, passa veloce.
E il ritorno dei Madness, con il disco pop migliore dell'anno: Oui Oui Si Si Ja Ja Da Da. La speranza alla quale ti aggrappi quando esci per le strade della tua cittadina e quello che vorresti è solo un pub (che non esiste) e una manciata di amici.
Poi Lee e i suoi Death Threat Cassette, frustrazione su registratore 8 tracce, alla maniera della migliore Sub Pop... un disco "incazzato" e perfetto nelle sue sbavature.
All'ultimo momento mi hanno pure regalato l'album degli XX, "Coexist", che sta girando in questo momento... decisamente buono... son tempi di crisi e loro tagliano il superfluo, lasciando solo l'essenziale e restando comunque ammalianti e raffinati.
Poi, inaspettatamente, tanta roba italiana. Che sia la volta buona? Quest'anno ho consumato l'LP dei Be Forest (sulla propaggine post-gaze della penisola), Mushy (uno degli ultimi acquisti), i sempre validi Soviet Soviet (che finalmente ho visto dal vivo), i mastodontici Ufomammut, i Giuda (che ormai hanno scavallato anche oltremanica), ma anche realtà che sollevano la testa dall'acqua alta di queste zone paludose, prendendo grossi respiri. Tre nomi su tutti: Temponauts (con un disco in uscita semplicemente PERFETTO), Allan Glass e i potentissimi paladini dell'hardcore vecchio stile che rispondono al nome di Collateral Damage...
A proposito di hc italiano... insieme ai "soliti noti" qui in città ho avuto la fortuna di conoscere e chiacchierare con Zazzo dei Negazione (e il libro + CD "Il Giorno Del Sole" su Shake va di diritto nella mia playlist di fine anno), in una "giornata perfetta" che sarebbe piaciuta a Lou Reed...
Beh, credo che ora come ora sia tutto, più o meno tutto è stato compresso e sistemato a dovere. Ovviamente accanto a queste "novità" ci sono stati sempre i miei ascolti "materasso", che bene o male continuano a girare: reggae, dub, soul, Joy Division, Happy Mondays, Specials, insapettatamente uno svarione per i Death In June, ma anche le grandi certezze di sempre, che lo sapete quali sono.
Cosa si aspettano le mie orecchie nel 2013? Non si può sapere. Per certo posso dire che, di qualunque cosa si tratti, sarà qualcosa che come sempre aiuterà a vivere meglio.
Grazie Fab!!!
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