venerdì 16 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Temponauts

Voi lo sapete cos'è una white label? Nel millennio scorso le white labels erano stampe di prova, fatte su vinile, di dischi prossimi all'uscita. Credo che nell'ambito della musica elettronica, quella da dj, le facciano ancora. Servivano per provare una canzone, per vedere come funziona sottoposta all'attenzione della gente. White label perchè quei dischi non avevano il centrino normale, ma un'etichetta bianca con su scritto artista e titolo a pennarello. "Columbia" degli Oasis uscì come white label e oggi i collezionisti uccidono per averne una copia...
Anche io oggi ho in mano una white label. Perchè non c'è più il tipo dei test pressing che me l'ha regalata, ma me l'hanno fatta avere i Temponauts, che hanno appena messo insieme le tracce del loro secondo LP.
Tutte le volte che mi arriva qualcosa di nuovo da loro so che è qualcosa di speciale.
Sono amici, ma anche con gli amici, musicalmente parlando, sono abbastanza una merda.
Con loro però la faccenda è diversa. Sarà una questione di gusti comuni, di età (più o meno siamo tutti lì), ma ormai mi fido ciecamente.
Non sono un gruppo che gira molto, sono tutti incasinati con una vita in corso, il lavoro, le famiglie, ma quando si mettono a suonare, levatevi da sotto...
Il nuovo lavoro "The Canticle Of The Temponauts", di cui ho avuto il mix quasi definitivo, suona meravigliosamente bene.
Cioè, mi da ancora quella sensazione di avere in mano un Verbatim masterizzato con qualcosa dentro che vale. Un piccolo segreto che hai voglia di far scivolare nel lettore della macchina appena esci.
Una cosa del tipo: si vabeh, divertitevi pure con le vostre fisse del momento, io in mano ho una cosa che se ve la faccio sentire vi spettino.
Poi mi immagino il mondo di notte visto dai Temponauts, in quello studio bellissimo nella campagna piacentina (L'Elfo http://www.elfostudio.com/), dove vanno a registrare una volta messe a letto le faccende della giornata.
Suonano duro sulle Rickenbacker, sul bassone Fender, sulle Epiphone d'epoca, e tirano fuori quelle melodie lì che si appiccicano, come se in formazione ci fossero mezzi Stone Roses e mezzi Byrds. Un piccolo miracolo "decentrato".
Proprio poco fa uno di loro mi chiedeva se il disco mi fosse sembrato nostalgico o revivalista, ma cazzo, no, non lo è! E' senza tempo.
"non ci sono gain sintetici, solo valvole JJs e Celstion a livello di fusione! e infatti ho di nuovo fuso un ampli..." mi ha detto il loro cantante.
Se vi chiedessero come suonano i La's, che cacchio rispondereste? Ecco, se avete capito siamo a posto, non perdiamo altro tempo.
Ad ogni modo il disco dura 40 minuti. Le canzoni sono sempre lì che assorbono il succo delle chitarre e te lo restituiscono insieme alle melodie, è difficile da spiegare, ma ti viene voglia di sentirlo ancora una volta e poi ancora una.
Qua arriva l'inverno e si alza la nebbia, ma senza fare versi i Temponauts imboccano quella stradina di campagna, arrivano in studio e ne mettono su un'altra.
Ora c'è solo qualche piccolo aggiustamento in due o tre brani (così mi dicono). C'è anche una cover di Movin' On dei Novecento, e una traccia chiamata Sueno Real, che viene da Ferlinghetti. Hanno imbroccato anche i titoli dei pezzi (Capitulation Day, Teleported Girl). E hanno qualche bella novità, come "March Of The Martians".
Come al solito, l'ombra di Phil Dick veglia sul Cantico dei Temponauti. Se volete dosi massicce di chitarre jangle, delle 12 corde ben piazzate, qualche suggestione ipnagogica, e un bel disco moderno che ha nostalgia del passato, sapete a che porta bussare. Ma aspettate ancora un attimo, ci sono un paio di livelli da aggiustare. Poi si parte.
Di gruppi buoni che suonano questo genere di cose in giro ce ne sono tanti, che spaccano il capello e rifiniscono in maniera maniacale, ma vi assicuro che autentici come i Temponauts non ce ne sono.
Stasera chiudo la settimana tornando a casa con la mia white label a palla.

giovedì 15 novembre 2012

ho sentito sti tipi che si chiamano Mirella Fa Gli Involtini Col Culo

Post Polemico:
- Marta Sui Tubi
- Valentina Dorme
- Non Voglio Che Clara
- Eva Mon Amour
- Maria Antonietta
- News For Lulu
- ...
finchè un gruppo (specialmente italiano) sceglie un nome di donna, mirando a provocare romantici pruriti, e lo associa a qualche concetto vuoto ma terribilmente "universitario fuori sede", viene fuori una bella cagata.
Siamo seri, come cazzo faccio ad ascoltare un gruppo che si chiama così? Fossero i Giovannona Coscialunga potrei anche buttare un ascolto, ma così proprio non andiamo.
Fine post polemico.

mercoledì 14 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano The Hippy Mafia

The Hippy Mafia: non li trovate sui blog hipsteroni, non li trovate (ancora) sui giornali. Sono un'entità semi astratta: tra di loro c'è un ex Happy Mondays, ma il gruppo è molto misterioso, e poco viene reso pubblico. Operano nell'oscurità, passando tra uno studio di Manchester e la seconda base in Canada. Hanno fuori un EP chiamato "The Black Beatles EP Vol. 1", e per ascoltarlo dovete dimenticare tutto ciò che vi blocca. I generi musicali, le divisioni, le stupide barricate: negli Hippies c'è l'hip hop, l'atteggiamento hooligan, i ritmi superfunk, il mood rilassato di chi si sente bene solo per strada. Io ho avuto la fortuna di conoscerli già tre anni fa, quasi privatamente, e sono rimasto sconvolto dalla loro credibilità. Tutto va d'accordo con loro: Sly And The Family Stone, la disco music, le serate che in un baleno diventano mattine, le corse con le cuffie a balla, il retrogusto della birra, gli strambaloni della psichedelia, con addosso un bel paio di scarpe da ginnastica comode, dei baggy trousers e nelle orecchie il rimbalzo di un suono completamente meticcio. Album fuori a febbraio 2013. Non dite che non ve l'avevo detto...

Ho sentito sto tipo che si chiama Wally (a cura di Cancio)

...ed ha un'etichetta in Canada, la TheBeautifulMusic.

No, una volta tanto non solo gruppi o cantanti, ma una parte ugualmente importante di questa nostra comune passione, ovvero le etichette e chi le fa andare avanti. Antefatto. Un mesetto fa, giorno più o giorno meno, questo blog muoveva i primi passi e come prima recensione, il buon Fab ha parlato dei Dot Dash. Dopo aver armeggiato con la pagina Facebook del gruppo ed aver sentito un paio di brani, convinto anche da quanto letto qui sul blog, passo al setaccio il sito della TBM ed in men che non si dica ho già ordinato il disco. Procedura che fila liscia e semplice, pagamento via Paypal, tutto quello quindi che si può desiderare da un acquisto online oggi giorno. Pensando a quanto ci potesse mai mettere una busta a viaggiare dall'Ontario alla provincia alessandrina, non nutrivo speranze di poterlo piazzare il CD nel lettore in tempi brevissimi, ma alla fine ci ha impiegato un mese, tempo più che ragionevole tutto sommato. Pochi giorni prima di ricevere la busta, mi son accorto di una mail spedita da Wally Salem, ovvero chi sta dietro alla TBM, che ringraziandomi per il supporto a band ed etichetta, scriveva che mi avrebbe spedito insieme a Winter Garden Light il sampler dell'etichetta (sempre che non avessi desiderato un altro dei dischi a catalogo). “Che gentile”, mi son detto, peccato aver letto così in ritardo la lettera, ormai occhio e croce il pacchetto avrebbe dovuto essere vicino alla meta e così in effetti è stato: dopo nemmeno una settimana finalmente è approdato nella mia cassetta delle lettere. Aperta la busta, trovo ben quattro dischi avvolti in un foglio di carta. Due copie del sampler preannunciato, Winter Garden Light come da attese ed in più anche il primo album dei Dot Dash, Spark>Flame>Ember>Ash , il tutto accompagnato da una lettera, scritta a penna da Wally stesso, dove mi comunicava di aver incluso anche il primo disco, nel caso non l'avessi già e dove prima di salutarmi, mi esortava a fargli sapere, cito più o meno testualmente “qualsiasi cosa mi passasse per la testa”.
Tutto qui ? No, pure la spilletta della TBM !!!
Ormai il massimo che mi attendo (e che non sempre trovo nel pacco) quando compro qualcosa online è una asettica ricevuta dell'ordine: anestetizzato da questa fredda consuetudine, trovare quella breve lettera mi ha fatto tornare indietro ai bei tempi dei dischi ordinati via posta (magari imboscando bene bene i soldi nella busta, in barba ai regolamenti postali) o telefonando a casa di qualche membro del gruppo (e magari parlando con i genitori che ti pregavano di richiamare, visto che il figlio era in turno in fabbrica).
La comodità dei mezzi attuali con l'attitudine che bene o male ci accompagna da quando si ascolta musica.
Bello, no ?
Magari la mail che ho ricevuto è preconfezionata e completata giusto al momento della spedizione con nome ed indirizzo email (e ci sta), ma qui non si scappa, non è certamente “di circostanza” mettersi a scrivere qualche riga a penna sul retro di un volantino promo e mettere nella busta dischi in più rispetto a quanto si era chiesto: rischio la retorica, ma è specchio di (e qui cito il commento di un amico) amore per quello che si fa. Non è cosa da poco, è cosa da apprezzare e supportare!
La e-mail di ringraziamento è partita, ora spazio a carta e penna, la soddisfazione di spedire una mail senza e- davanti dopo tanti anni me la voglio togliere!
http://thebeautifulmusic.com/

(post a cura di Cancio)

lunedì 12 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Spiritualized

...ma sentiti nel vero senso della parola, ieri sera a Milano. Era dal 1997 che speravo di poterlo fare, e per un bel periodo ci avevo anche rinunciato. Stavolta è andata, Jason Pierce c'era e con lui tutto il resto.
Andare a sentire i concerti a Milano mi fa sentire sempre un po' tipo Artemio ne "Il ragazzo di campagna"... bei locali, gente perfetta, tutti tranquilli e incuranti dell'orario, ma questo è un altro discorso.
Jason Pierce dicevo: solo qualche anno fa ha rischiato il pacchetto, nel 2012 ha ammesso di essersi sottoposto a cure pesanti e invasive, e molti dubbi sono stati sollevati sulla sua possibile ripresa, musicale e fisica.
Personalmente, i dischi degli Spiritualized dopo "Let It Come Down" non sono stati imperdibili, ma alla fine li ho presi tutti, perchè ho sempre puntato tutto su Jason Pierce e sulla sua fantasia. "Ladies & Gentlemen" è stata una folgorazione, e non mi sembra di essere presuntuoso a dire che è un capolavoro.
Ultimamente poi sto ascoltando musica abbastanza anaffettiva, e l'argomento Spiritualized mi mette spalle al muro sull'aspetto emozionale: "Lord Can You Hear Me", "Broken Heart", "Out Of Sight", per chi mastica la materia, non sono propriamente canzoni impermeabili a risvolti intimisti...
Tornando al concreto, il concerto ha messo chiaramente sul tavolo un personaggio e una band straordinarie.
Pierce è alto, magro come un chiodo, in forma nonostante tutto. Seduto, di fianco due corpulente gospel singers, una tastiera, batteria, basso e chitarra numero due.
Proiezioni sullo sfondo.
Pierce: davanti alla sua storia ti aspetti un concerto fatto di ballads incredibili, con aperture orchestrali, cori, ampio respiro a bassa velocità.
E invece? E invece la chiave di volta è la violenza: gli Spiritualized di ieri sera sono stati una macchina da guerra, con le canne fumanti di feedback, chitarre massacrate, batterie motorike come presse industriali, jam sessions stellari. Ci sono stati i lenti, due o tre, e nell'intervallo tra uno e l'altro non volava una mosca. Era quasi impressionante sentire lo stacco della canzone il solo il rumore bianco prima dell'attacco dell'altra. Un rigore ecumenico, sostenuto dal gospel spaziale degli Spiritualized.
Ma al Pierce "bianco" del soul siderale si oppone un'anima torbida, torbidissima, ancora infestata dai fantasmi degli Spacemen 3 e dei cassetti pieni di droga.
Vederlo spalancare la bocca, tirare il viso e mostrare i segni del tempo e del passato tumultuoso è stato affascinante come è affascinante il diavolo.
Le due lunghissime e rumorosissime sessions, unite al fragore di brani come "Electricity", hanno mostrato come si fa a fare rumore, cercando la potenza, l'annichilimento, il climax, con un guizzo sadico verso le povere orecchie del pubblico. Come un Sun Ra punk, ai duecento all'ora in un'eruzione di drones, riffs ripetuti all'infinito, luci stroboscopiche e ritmi spietati.
Non esiste al mondo un'altra band come gli Spiritualized, che si mangia in un boccone tutta la nuova generazione di "sballati" da copertina. Non bastano una camicia a quadri e una valigetta di pedali per fare la psichedelia. Gli Spiritualized sono l'essenza dell'anti hippismo: celestiali e infernali, lucidi distruttori di qualsiasi schema precostituito. In loro c'è il caos. Good dope, good fun.

giovedì 8 novembre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Fugazi

Si vabeh.
Bella forza.
Questo è un post intriso di amarcord. Ma non solo. Perchè ora ho quasi 40 anni, una bella esperienza di ascolti opposti e variegati. E, dall'alto delle mie maniglie dell'amore, mi sento di poter giudicare (ovviamente a titolo personale) l'operato di questo gruppo che molto ha dato alla mia adolescenza e oltre.
In questi giorni ho ripreso un po' l'ascolto differito dei Fugazi, dopo essermi negli anni allietato le orecchie con le sonorità più disparate (dal britpop al folk apocalittico passando per il dub e la soul music). E sono giunto a congetturare che forse i Fugazi sono stati l'ultimo gruppo "rock" veramente originale.
Sbram! E' arrivato lo stronzo con la verità in tasca e sotto coi discorsi di chi è originale e chi copia manco fossimo Morgan a XFactor. Ma io me ne sbatto i coglioni, perchè so che chi legge ste righe sa cosa voglio dire. Non voglio fare il fenomeno, voglio riportare la parola "originale" - per un gruppo rock - al suo posto. Niente sboronate.
I Fugazi hanno introdotto un nuovo modo di intendere la musica, esaltandone la fisicità e pure la riflessività. I Fugazi hanno conservato una bella carica vitale, ormonale, anche proponendo argomenti sonori non propriamente "villosi". Dopo aver passato anni a dissetarmi di dischi, ora apprezzo le basslines di Joe Lally, che sono vero DUB. Da ragazzino il particolare non l'avrei colto, e nemmeno apprezzato. Le chitarre sono fratturate come la New Wave dei Joy Division, degli A Certain Ratio, una specie di white funk spigoloso e acuminato. La batteria si interrompe e ricomincia come certe follie dei dischi jazz. Magari ce la trovo solo io, ma credo ci sia molta "materia nera" nei dischi dei Fugazi. Chissà cosa ascoltavano, da parte loro, i Fugazi. Ad ogni modo, se tiriamo le propaggini del Punk come una sfoglia fino agli anni 90, i Fugazi da una parte e i Massive Attack dall'altra rappresentano le migliori rappresentazioni del Post Punk, intendendo il termine letterale: dopo il Punk.
Non trascuriamo neanche il fatto che alla fine delle fini, hanno mantenuto anche una discreta condotta etica. Si sono sciolti prima di diventare prolissi. Sono stati "indie" dal giorno uno. Continuano sotto varie forme a spingere il loro sottomondo chiamato Dischord.
Nel baraccone dei primi 90 un po' tutti ci hanno provato con le major. Penso che l'avrei fatto anche io perchè i soldi non sono il demonio e provare ad averne di più non è necessariamente un fatto negativo.
I Nirvana sono diventati un mito interstellare perchè hanno continuato a lamentarsi. Tutti quelli che si lamentano vengono ascoltati. Anche in TV, sui giornali. Chi piange vince.
I Fugazi al contrario sono sempre stati molto dignitosi, ligi al dovere, fedeli alla linea. Fin troppo. Nel 1995 li andai a vedere e provai ad approcciare Ian MacKaye. Lui mi mandò a stendere, senza tanti complimenti: "Now listen to what they have to say", riferendosi al fatto che non stavo a sentire gli Assalti Frontali che stavano suonando sul palco. Sai a me che cazzo me ne fregava degli Assalti Frontali.
Dicevo, i Fugazi non han mai fatto tanti versi, magari non sono stati sti mostri di simpatia, ma, setacciando tutto, quello che rimane sono performances incredibili, dischi belli e un comportamento sobrio, senza piagnistei. Rimangono i fatti, cadono le pugnette.
Acoltare i Fugazi a quaso 40 anni non fa l'effetto di "ascoltare da adolescenti quello che facevano dei tipi una decina d'anni più vecchi". Davanti ai loro dischi anche MacKaye, Picciotto, Lally e Canty non si troverebbero alle prese con imbarazzanti fantasmi di gioventù, ma si troverebbero davanti ad un qualcosa di concreto, di cui andare fieri, che resiste alla prova del tempo. Ascoltare i Fugazi non è stata una perdita di tempo. E non lo è nemmeno ora.