domenica 28 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Seaside Postcards

Visto l'andazzo direi che si potrebbe quasi parlare di "scuola pesarese": i Seaside Postcards, dopo un convincente precedente EP, tornano con una nuova austera unità sonora. Si chiama "Hope and Faith" il loro nuovo lavoro, forse un pelo meno criptico del primo. Si insiste sulle scarne geometrie wave, che ben si intonano ai tempi che stiamo vivendo. A questo giro troviamo un gusto più post rock (c'è ancora più spazio per le parti strumentali), sempre sorretto da linee di basso "suprematiste", semplici, insistenti, martellanti. Funziona, ammalia, nutre quella voglia di nostalgia che quasi tutti ci portiamo dentro, magari sopita. In un certo senso espone anche la band ad un pericoloso senso di deja vu, il genere è pieno di convergenze, ma è anche soggetto ad altrettante aperture. Mi avevano convinto col primo EP e continuano a farlo. L'unico vero peccato è che l'uscita digitale è troppo volatile. Questa nuova onda italiana, merita il formato fisico. Tra vent'anni, probabilmente si inizierà a parlare di questa bolla temporale che sta producendo tanta bella musica di derivazione wave, ed è un vero peccato che non ci saranno dischi fisici a supportare e fare da testimonianza. Nel frattempo, gratuitamente, c'è questo: http://seasidepostcards.bandcamp.com/album/seaside-postcards-hope-and-faith-ep-2012

giovedì 25 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano The Cornelius Crane

Non sono particolarmente in vena di tradizionalismi, ma mi son passati per le orecchie questi Cornelius Crane, col loro "EP Too". Vengono da Manchester, e suonano come la California. Sono un trio, e fanno musica senza bisogno di competere, di emergere o di finire in copertina. Si scaldano le ossa, lassù, al freddo e alla pioggia, suonando un rock classicissimo, quasi conservatore, che affonda le sue radici in bands come CSNY, Crazy Horse, e tutta la créme del folk rock della West Coast. Al contempo i Cornelius hanno quel sapore appena impercettibile che caratterizza le bands più "americane" del nord dell'Inghilterra, quell'aspetto compassato capace di schiudere grandi gioielli. Mi vengono in mente gli Shack, i Coral, e, perchè no, certe atmosfere degli High Flying Birds di Noel Gallagher. Perchè anche nell'EP dei Cornelius Crane si sentono le corde far vibrare la cassa dell'acustica, si sentono sfrigolare le molle e le pelli della batteria, si sente l'appoggio morbido delle dita sul basso. La stessa sensazione che si prova maneggiando un oggetto artigiano, fatto su misura.

martedì 16 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Death Grips

La solfa è proprio anni 90, da ribelli incazzosi e integralisti. Questi qua sono in tre, super hypati, fisicati, americani, cinici, terribili e intelligenti. Fanno il botto con una indie label, poi arriva la major, loro preparano il disco, poi il disco è incommerciabile, e i cattivoni del music biz li mandano affanculo. Allora loro per far vedere che sono integerrimi e ce l'hanno duro, fanno appunto una foto ad un bel pisellone eretto, ci scrivono sopra il titolo del disco e lo regalano in download. Applausi, ma ormai è un po' un clichè anche questo. Io il disco me lo sono scaricato, ed è bello. E' una roba avant hip hop glaciale, con delle basi secche e mastodontiche, il rappato è violento, ridotto a volte quasi ad un rantolo, è veramente un disco potentissimo. Rap, batteria vera e synth. Ora, io di chi siano questi non lo so, se piacciano alla gente che piace non lo so, io è una settimana che ce l'ho su. E', per dire, qualcosa alla MF Doom ma più hardcore, più urlone. E' come quando vent'anni fa ti passavano i Cypress Hill o i Wu Tang, ma anche roba pestona hardcore tipo Born Against, o Judge o cose così, e tu ti sentivi zarro e potente, e gli altri non capivano quanto tu fossi una bomba. Ovviamente tutto questo è stata ed è un'illusione, passa il tempo e ti accorgi che più che essere tu a spaccare il mondo devi stare attento che non sia il mondo a spaccarti, ma per una mezz'ora in macchina potresti far fuori centinaia di persone che ti impediscono di fare ciò che vuoi. Poi scendi, vai a lavorare e assumi la posizione, come tutti i giorni, ma in quella mezz'ora passata coi Death Grips a cannone ti sembra quasi che qualcosa possa cambiare, con la forza.

giovedì 11 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Be Forest

Sono un trio e vengono da Pesaro, che ultimamente sembra essere un posto molto fertile. Da lì arrivano anche i Soviet Soviet, miei favoriti da tempo ormai. Quello dei Be Forest è un menù leggermente diverso. Sempre wavish, sempre molto spettrale e etereo. Una fotografia kirlian di un attimo grigio, sbiadito, in una città deserta. Sono molto affini a gente come gli Slowdive, danno quella impressione di qualcosa di segreto, nascosto. Mi piace questo modo intrigante di far musica: si sente che c'è una gioventù smorzata, una misura, una voglia di "velare". Hanno dei suoni bellissimi, delicati, ma al contempo decisi. Batteria suonata in piedi, basso secco, suonato col plettro e chitarroni Fender Jaguar infilati in un tunnel infinito di effetti. Il loro disco omonimo è un piccolo capolavoro non tanto di originalità quanto di godibilità. Stamattina con la nebbia che saliva dai campi era completo.
Mai visti in faccia, ho iniziato a sentirli buttando qualche ricerca su youtube. A vederli, dimostrano che al giorno d'oggi non c'è gruppo che possa vivere senza immagine. Sono praticamente pronti per una rivista di moda, poi scopro anche che hanno un bel seguito nel "giro indie": cosa che di principio mi avrebbe già fatto scappare la voglia, che alla mia età sono diventato un pezzo di carne vecchio e stopposo. Ma alla fine l'età sclerotica mi impone anche maturità, e passare sopra a ste cose, e meno male. Perdersi i Be Forest (che comunque continuano il filotto con un nome perfetto) sarebbe un vero peccato. I dischi e i gruppi indie rock forse hanno davvero la data di scadenza, perchè non è sempre facile fronteggiare una mole di uscite spropositata, una competitività degna di una speculazione finanziaria e poi un gruppo non può avere più di quattro assi nella manica. Tuttavia vi assicuro che in questo momento il disco dei Be Forest  è davvero un ottimo modo per passare una mezz'ora sognante, immersi in tempo di crisi.

lunedì 8 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi sulla compilation di Mojo di ottobre

Mojo è una rivista musicale inglese che costa quasi 10 euro. Io la compro più o meno regolarmente dal 2003. I primi numeri erano illuminanti. Io ne sapevo molto meno, ma con Mojo ho imparato a conoscere e apprezzare decine di bands, di generi diversi. Non è per fare lo snob, per far vedere che so leggere una rivista in lingua, è solo che quelli di Mojo hanno competenza e al contempo sono molto "alla buona". Ogni numero, in concreto, ha un tema, uno speciale, un sacco di belle foto e di articoli davvero esaustivi ma mai pedanti. Certe interviste di Mojo sono davvero inarrivabli, come quella a John Cooper Clarke fatta dal tipo degli Arctic Monkeys. 
Vabeh.
Negli ultimi anni, tutti i mesi Mojo ha montato in copertina un CD. A volte sono compilation di roba originale, a volte si scade nel loffio con riedizioni cover di questo o quell'altro album famoso. Quando ci son le cover non lo compro.
A sto giro la compilation invece è una bomba. Sono "indie classics" dal 1982 al 1987. Terreno vastissimo e (per me) parzialmente inesplorato. Nel 1982 avevo 7 anni e facevo come Tardelli sulla moquette della casa in affitto che avevamo in paese. Più tardi, nel 1987, guardavo con ammirazione i paninari sognando un paio di Timberland.
Solo pochi anni dopo sarei avrei preso sentieri molto diversi. In tutto questo divenire, in Inghilterra c'erano gli Smiths (che tuttavia apprezzavo pur non capendoli su Deejay Television, che ogni tanto passava Ask) e tutto un altro sottobosco pazzesco. A scoprirlo adesso, ha un sapore particolare. Chissà che facce avevano quelli che in quegli anni, in Italia, ascoltavano i Go Betweens, o i Felt, o i Weather Prophets. Mentre Boldi sbancava i botteghini e tutti "facevano gli americani" da Burghy, mentre il figlio di Silvio spuntava a Drive In e mia mamma si beccava Dallas, nasceva quello che si sarebbe poi chiamato "indie rock". Indie è un bel termine, io l'ho sentito per la prima volta da uno che parlava dei Charlatans. Adesso invece sembra quasi un insulto, una roba finta, o meglio, un qualcosa privo di significato. I Kasabian sono indie, oppure ti vesti indie... ci sono i tipi indie, che non hanno un cazzo di disco in casa.
Chiamatemi "il Dottor Divago"... torniamo alla raccolta di Mojo... bene, è un buonissimo compendio di quel suono e di quell'estetica sfuggente, difficilmente classificabile, tra l'82 e l'87. Bello perchè nessuna delle bands ha un'immagine, ma ciascuna insegue un frammento, un gioco di rimandi. C'è Billy Bragg, il folk singer ultracomunista che fa i picchetti, ci sono i Television Personalities (che in piena guerra fredda si vedono costruire nella loro città un arsenale missilistico, e quindi scrivono "How I Learnt To Love The Bomb"), ci sono i Weather Prophets, i Felt che stanno un qualche centimetro sopra tutti, i Dentists e gli immensi La's che suonano come un diamante grezzo anche se registrano in un pollaio... beh, mi piacerebbe conoscere qualche storia di chi negli anni 80 c'era, e, alla facciazza di tutto, in Italia, si godeva queste piccole comete di passaggio, laterali ai vari Duran Duran, al punk hardcore, al goth, alla new wave e all'electro. Chissà cosa facevano, chissà che facce avevano, chissà se stavano in città o in provincia... chissà se esistevano, soprattutto...

domenica 7 ottobre 2012

Ho sentito sto tipo che si chiama Danny Mahon

Danny Mahon è uno di quelli buoni. Faccia paciosa, chitarra in mano, sembrerebbe quasi pronto per tutta una serie di luoghi comuni fatti di bravi ragazzi e cuori infranti. Però no: non è Badly Drawn Boy. Danny è "uno dei ragazzi", uno di quelli col montgomery e le trainers bianche fiammanti. Suona, canta: da solo. Fa una specie di folk, ma i ragazzi sanno bene di cosa parla, e cantano a squarciagola insieme a lui. E' atipico, sobrio e pure sboccato e mi fa impazzire. Manco a dirlo, viene da Manchester, lassù ti fan crescere col filo della schiena dritto. Ha un paio di EP fuori, in uno di questi c'è un pezzo che si chiama AK47:
Sentite qua:
Alcuni suoi amici e fans sono stati accusati di combinare casini quando c'è la partita... beh, son ragazzi. E' giusto così.

Rows of terraced houses, high rise flats, cobbled streets, Cantona, corner shops, 45rpm, shoplifters, football, my dad, my dad’s record collection, Poplar St, jumpers for goal posts, dealers, pimps, thieves, low-life scum, salt of the earth, old house at home, chip butties, pylons, railway bridges, the bus ride into/out of town, Catholicism, nuns, kock-a-door-run, The Beatles, Manchester, Strangeways, the family who lived at number 13, my skylight window, UFO’s, Neil Armstrong (he had balls bigger than king kong)

Ho sentito sti tipi che si chiamano Dot Dash

Mi arriva una  mail, subject "mod pop". Apro. "Dot Dash", come un pezzo dei Wire. Sono americani, di Washington DC. Io a Washington DC ho lasciato un pezzo di post-adolescenza, senza esserci mai andato. Vado su Bandcamp, premo play. Suona chiaro, grosso, come gli Sugar di Bob Mould, ma più inglese, molto più inglese. C'è quella scintilla che ti sveglia dal torpore di una domenica mattina dopo un sabato lavorativo. Google "Dot Dash band": ecco perchè. Non sono ragazzini, tra di loro c'è gente che ha inciso per K Records, gente che suonava negli Youth Brigade, nei Julie Ocean, anche uno che ha passato qualche tempo negli Swervedriver: insomma, capito il giro? Mi hanno mandato il codice per scaricarne una copia promo, e me ne manderanno anche una fisica. "Winter Garden Light" è un disco fatto bene, con le regole di una volta. Pop, indie pop (e dico con la "I" maiuscola). Come se finalmente si fosse concretizzato il legame etico che unisce la Dischord Records al movimento Mod. Etica ed estetica, DIY e rigore formale. Quest'oggi l'ho già ascoltato almeno 4 volte. E' uno di quei dischi che ti riduce a soffittaro, come quando a 18 anni non uscivi perchè dovevi sentire lo stesso album per tutto il pomeriggio. E' anche il disco che mi ha fatto venir voglia di aprire un blog. Il 21 dicembre finirà il mondo, ma chi se ne fotte se vivi nel 1992?
https://www.facebook.com/dotdashdc
Il disco lo potete trovare qui, label The Beautiful Music http://thebeautifulmusic.com/?page_id=1399

Oh! ho sentito sti tipi

"...che si chiamano blablabla fanno una roba mista tra blabla e blablabla..." quante volte l'ho detto? Quante volte l'avete detto? Soffittari, gente che si fa le domeniche in casa con una mostruosa collezione di dischi, accumulati in anni e anni di devozione e catalogazione. Gente che è vicina ai 40, o li ha abbondantemente superati perdendo il proprio tempo libero alla ricerca spasmodica del suono, dell'estetica o dell'attitudine. Gente che se la incontri dopo cinque anni non parla di lavoro, di vita grama, di famiglie o di auto ma di quanto fossero grandi gli (inserire nome a piacere) o di quanto sia buono l'ultimo degli (inserire nome a piacere).
Tutto sommato non siamo cresciuti male, alla fine ci siamo fatti una vita, e magari non sarebbe andata così se non avessimo continuato ad ingrassare la nostra collezione di dischi. Magari sarebbe andata meglio, ma magari no.
Questo blog è fatto da uno di voi.
Si parte.
"Oh! Ho sentito sti tipi che si chiamano..."