giovedì 11 ottobre 2012

Ho sentito sti tipi che si chiamano Be Forest

Sono un trio e vengono da Pesaro, che ultimamente sembra essere un posto molto fertile. Da lì arrivano anche i Soviet Soviet, miei favoriti da tempo ormai. Quello dei Be Forest è un menù leggermente diverso. Sempre wavish, sempre molto spettrale e etereo. Una fotografia kirlian di un attimo grigio, sbiadito, in una città deserta. Sono molto affini a gente come gli Slowdive, danno quella impressione di qualcosa di segreto, nascosto. Mi piace questo modo intrigante di far musica: si sente che c'è una gioventù smorzata, una misura, una voglia di "velare". Hanno dei suoni bellissimi, delicati, ma al contempo decisi. Batteria suonata in piedi, basso secco, suonato col plettro e chitarroni Fender Jaguar infilati in un tunnel infinito di effetti. Il loro disco omonimo è un piccolo capolavoro non tanto di originalità quanto di godibilità. Stamattina con la nebbia che saliva dai campi era completo.
Mai visti in faccia, ho iniziato a sentirli buttando qualche ricerca su youtube. A vederli, dimostrano che al giorno d'oggi non c'è gruppo che possa vivere senza immagine. Sono praticamente pronti per una rivista di moda, poi scopro anche che hanno un bel seguito nel "giro indie": cosa che di principio mi avrebbe già fatto scappare la voglia, che alla mia età sono diventato un pezzo di carne vecchio e stopposo. Ma alla fine l'età sclerotica mi impone anche maturità, e passare sopra a ste cose, e meno male. Perdersi i Be Forest (che comunque continuano il filotto con un nome perfetto) sarebbe un vero peccato. I dischi e i gruppi indie rock forse hanno davvero la data di scadenza, perchè non è sempre facile fronteggiare una mole di uscite spropositata, una competitività degna di una speculazione finanziaria e poi un gruppo non può avere più di quattro assi nella manica. Tuttavia vi assicuro che in questo momento il disco dei Be Forest  è davvero un ottimo modo per passare una mezz'ora sognante, immersi in tempo di crisi.

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